martedì 4 novembre 2025

IL REATO DI APPROPRIAZIONE INDEBITA EX ARTICOLO 646 DEL CODICE PENALE E LA SEPARAZIONE TRA CONIUGI

 

Secondo la Cassazione, costituisce reato non restituire all'ex coniuge denaro e/o oggetti di sua proprietà

La fine di una relazione sentimentale rappresenta di sicuro un momento molto delicato per tutte le persone che vi sono a vario titolo coinvolte. Purtroppo, non è cosa rara che dalla crisi di coppia nascano situazioni complicate da gestire, con il contesutale verificarsi di comportamenti inappropriati e inopportuni che possono altresì degenerare nella commissione di fatti qualificati dalla legge come reato. 

Le fattispecie criminose che si verificano con maggior frequenza in ambito familiare sono quelle ai danni dell'incolumità e della libertà personale, come ad esempio il reato di atti persecutori / stalking (art. 612 bis c.p.) o di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.). Peraltro, ricorrono con una certa frequenza anche reati rilevanti sotto il profilo economico/finanziario, ad esempio nel caso in cui non venga assolto l'obbligo di mantenimento in favore dei figli (si vedano al riguardo il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p.reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio ex art. 570 bis c.p.) o laddove si vada a ledere l'integrità del patrimonio altrui.

Il reato di appropriazione indebita, previsto dall'articolo 646 del codice penale, prevede testualmente che: 

"Chiunque, per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.

Trattasi di reato contro il patrimonio, procedibile a querela, finalizzato a sanzionare colui che si appropri del denaro o di altri beni mobili altrui approfittando della circostanza di averne la materiale disponibilità.

Dalla semplice lettura della norma emerge come la condotta ivi incriminata possa essere facilmente commessa nelle occasioni più disparate. Anche in sede di separazione/divorzio dei coniugi. 

Può infatti accadere che al termine di un periodo più o meno lungo di convivenza un membro delle coppia si ritrovi ad aver la disponibilità di alcuni beni in verità appartenenti all'ex partner e decida così di appropriarsene trattenendoli presso di sé e rifiutando di restituirli al legittimo proprietario. Ecco quindi che risulta integrato il reato di appropriazione indebita, come confermato dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezione Penale, nella sentenza n. 2556 del 2018. 
Detta pronuncia, nello specifico, afferma il principio secondo cui risponde del reato di appropriazione indebita ex art. 646 c.p. il coniuge separato che si appropri, avendone la disponibilità, di beni appartenenti all'ex, con conseguente  rifiuto di restituirli a quest'ultimo.

Per una trattazione più approfondita della questione in esame, si rinvia all'analisi dell'articolo 649 del codice penale, ove si prevede la non punibilità di determinati reati contro il patrimonio qualora gli stessi vengano commessi in danno a congiunti.

Avv. Tommaso Barausse

giovedì 30 ottobre 2025

ESTORSIONE - IL REATO PREVISTO DALL'ARTICOLO 629 DEL CODICE PENALE

Usare violenza e/o minaccia per costringere taluno a eseguire un pagamento è tentativo di estorsione

Il reato di estorsione è disciplinato dall'articolo 629 del Codice penale, ove risulta collocato tra i delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone. 

Sotto il profilo oggettivo, l'articolo in oggetto prevede e sanziona qualsivoglia condotta costrittiva improntata a violenza e/o minaccia che risulti fonte di un ingiusto profitto con altrui danno.

La norma di riferimento, di preciso, stabilisce che:

"Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.

La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nel terzo comma dell'articolo 628.

Chiunque, mediante le condotte di cui agli articoli 615 ter, 617 quater, 617 sexies, 635 bis, 635 quater e 635 quinquies ovvero con la minaccia di compierle, costringe taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 10.000. La pena è della reclusione da otto a ventidue anni e della multa da euro 6.000 a euro 18.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nel terzo comma dell'articolo 628 nonché nel caso in cui il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace per età o per infermità".

Si segnalano le ipotesi aggravate riferite alle circostanze previste dal terzo comma dell'articolo 628 del Codice penale, cui si rinvia 👉RAPINA - IL REATO PREVISTO DALL'ARTICOLO 628 DEL CODICE PENALE

Qualora ricorrano siffatte circostanze aggravanti, il reato di estorsione viene punito con la reclusione fino a vent'anni e con la multa fino a 15.000 euro. 

Il trattamento sanzionatorio risulta ulteriormente appesantito qualora ricorra l'ipotesi prevista dall'ultima parte dell'ultimo comma dell'articolo 629 c.p., essendo prevista la pena della reclusione fino a ventidue anni e la multa fino a euro 18.000.

Il reato di estorsione si distingue da quello di usura, previsto e punito dall'articolo 644 del Codice penale, la cui condotta non risulta connotata né da violenza né da minaccia. Per approfondimenti, si rinvia alla relativa disciplina.

Avv. Tommaso Barausse

giovedì 3 luglio 2025

RAPINA - IL REATO PREVISTO DALL'ARTICOLO 628 DEL CODICE PENALE

il reato di rapina risulta aggravato se commesso con l'uso di armi e/o con il volto travisato

Il reato di rapina può essere rappresentato come un furto attuato mediante violenza e/o minaccia nei confronti di una o più persone. Trattasi quindi di reato contro il patrimonio, che viene posto in essere al preciso scopo di procurare un profitto. Tuttavia, la connotazione violenta / minacciosa della condotta tipica rende la fattispecie in esame un reato di natura plurioffensiva, nel senso che oltre al patrimonio della vittima viene altresì lesa l'incolumità e la personale sicurezza della medesima.   

La norma di riferimento è l'articolo 628 del Codice penale, secondo cui:

"Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.

La pena è della reclusione da sei a venti anni e della multa da euro 2.000 a euro 4.000:

  • 1) se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite;
  • 2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato d'incapacità di volere o di agire;
  • 3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416 bis;
  • 3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all’articolo 624 bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
  • 3-ter) se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
  • 3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro;
  • 3-quinquies) se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.

Se concorrono due o più delle circostanze di cui al terzo comma del presente articolo, ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell'art. 61, la pena è della reclusione da sette a venti anni, e della multa da euro 2.500 euro a euro 4.000.

Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall’articolo 98, concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti."

Il primo comma della citata norma prevede l'ipotesi di rapina propria. Trattasi dei casi in cui la violenza e o la minaccia vengono attuate prima della sottrazione della cosa mobile altrui, proprio allo scopo di impossessarsene.

Di converso, il secondo comma prevede la rapina impropria, ove la violenza o la minaccia vengono poste in essere dopo aver sottratto il bene altrui, allo scopo di assicurarsene il possesso, a sé o ad altri, o per procurare a sé o ad altri l'impunità

Si segnala la sentenza delle Sezioni Unite (Cassazione penale, SS.UU., sentenza n. 34952 del 12.09.2012) che ha riconosciuto la configurabilità del tentativo anche con riferimento alla rapina impropria, enunciando il seguente principio di diritto: è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l'impunità.

Le pene detentive previste per il delitto in argomento sono piuttosto severe, soprattutto per quel che concerne le ipotesi aggravate, la cui integrazione può portare fino ad anni 20 (venti) di reclusione. 

Come contraltare a siffatta, aspra cornice edittale, la Corte Costituzionale è intervenuta riconoscendo mediante sentenza addittiva l'attenuante della lieve entità del fatto, da applicarsi nei casi in cui l'episodio criminoso risulti per l'appunto di modesta offensività (sentenza n. 86 del 2024).

Avv. Tommaso Barausse

 



lunedì 16 giugno 2025

INDEBITA PERCEZIONE DI EROGAZIONI A DANNO DELLO STATO – ARTICOLO 316 TER DEL CODICE PENALE

Ottenere benefici economici dallo Stato rendendo dichiarazioni false costituisce reato

Nell’ambito dei contegni posti in essere ai danni della Pubblica Amministrazione, assoluto rilievo assume la fattispecie di reato disciplinata dall’articolo 316 ter del codice penale, che testualmente recita: 
Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640-bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione  di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000

Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito."

In virtù della clausola di riserva posta all'inizio del primo capoverso, la previsione normativa in argomento assume portata residuale, trovando applicazione nei soli casi in cui non risulti integrato il più grave reato rubricato come "Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche", previsto e punito dall'articolo 640-bis del codice penale, alla cui disciplina si rinvia 👉TRUFFA AGGRAVATA PER IL CONSEGUIMENTO DI EROGAZIONI PUBBLICHE - ARTICOLO 640 BIS DEL CODICE PENALE.

Il bene giuridico che viene tutelato è il patrimonio della Pubblica Amministrazione, posto vengono sanzionati coloro che abbiano conseguito risorse finanziare dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee avvalendosi di documentazione falsa, ovvero attestante informazioni non corrispondenti al vero. 

Viene, altresì, punita l’indebita percezione di erogazioni in conseguenza della mancata indicazione delle informazioni che dovevano essere fornite.

L'ultimo comma, infine, prevede un importo “soglia” pari ad € 3.999,96=, che rappresenta il limite del quantum entro cui il fatto costituisce unicamente illecito di natura amministrativa, senza pertanto assumere rilevanza alcuna sul piano penale.


Avv. Tommaso Barausse

venerdì 13 giugno 2025

MALVERSAZIONE DI EROGAZIONI PUBBLICHE – ARTICOLO 316 BIS DEL CODICE PENALE

Usare gli aiuti economici percepiti dallo Stato per finalità diverse da quelle previste costituisce reato

L’articolo 316 bis  del codice penale, rubricato come “Malversazione di erogazioni pubbliche”, stabilisce che:

Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità Europee contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, destinati alla realizzazione di una o più finalità, non li destina alle finalità previste, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni."

Trattasi di norma posta a tutela del buon andamento della Pubblica Amministrazione, con specifico riferimento al corretto e proficuo utilizzo/destinazione delle risorse finanziare erogate dallo Stato, dagli enti pubblici e dalle Comunità Europee.

Si ritiene che il reato in argomento possa concorrere con quello di truffa aggravata ai danni dello stato 👉TRUFFA AGGRAVATA PER IL CONSEGUIMENTO DI EROGAZIONI PUBBLICHE - ARTICOLO 640 BIS DEL CODICE PENALE, essendo diverso il bene giuridico tutelato, nonché le relative condotte tipizzate.


Avv. Tommaso Barausse

giovedì 12 giugno 2025

TRUFFA AGGRAVATA PER IL CONSEGUIMENTO DI EROGAZIONI PUBBLICHE - ARTICOLO 640 BIS DEL CODICE PENALE

Percepire aiuti economici dallo Stato senza averne diritto può costituire reato

Il Codice penale prevede una specifica disciplina per l'ipotesi di truffa avente ad oggetto un beneficio economico proveniente dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee.

Il trattamento sanzionatorio (reclusione da due a sette anni) è sensibilmente più severo rispetto a quello previsto per la fattispecie di truffa "base" di cui alla norma precedente (art. 640 c.p.), alla cui disciplina si rinvia 👉 IL REATO DI TRUFFA - ARTICOLO 640 DEL CODICE PENALE

Inoltre, la truffa avente ad oggetto le erogazioni pubbliche è proseguibile d'ufficio, pertanto, ai fini dell'avvio e della prosecuzione dei relativi procedimenti penali, non è necessaria la presenza di querela.

La norma di riferimento è l'articolo 640 bis del Codice penale, secondo cui:

"La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d'ufficio se il fatto di cui all'articolo 640 riguarda contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee".

Secondo la giurisprudenza, la norma in commento rappresenta una circostanza aggravante del delitto di truffa previsto e punito dall'articolo 640 del Codice penale e non un'autonoma fattispecie di reato.



Avv. Tommaso Barausse 

 

mercoledì 11 giugno 2025

IL REATO DI TRUFFA - ARTICOLO 640 DEL CODICE PENALE

Elementi della truffa: ingiusto profitto, artifizi o raggiri, induzione in errore, danno altrui

La truffa rappresenta con ogni probabilità la più nota figura di reato contro il patrimonio. 

Essa consiste nell'arricchirsi indebitamente a discapito di altri soggetti, ovvero imbrogliando le persone con induzione in errore delle stesse. 

Sul piano normativo, la fattispecie di truffa è disciplinata dall'articolo 640 del Codice penale, secondo cui:

"Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.

La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1.549:

  1. 1) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico o dell'Unione europea o col pretesto di far esonerare taluno dal servizio militare;
  1. 2) se il fatto è commesso ingenerando nella persona offesa il timore di un pericolo immaginario o l'erroneo convincimento di dovere eseguire un ordine dell'Autorità
  1. 2-bis) se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all’articolo 61, numero 5;
  1. 2-ter) se il fatto è commesso a distanza attraverso strumenti informatici o telematici idonei a ostacolare la propria o altrui identificazione.

Quando ricorre la circostanza di cui all'articolo 61, numero 5), la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 700 a euro 3.000.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal secondo comma, a eccezione di quella di cui al numero 2-ter), e dal terzo comma".
La norma è posta a tutela dei seguenti valori, giuridicamente rilevanti:
  • patrimonio della persona;
  • libertà della volontà/autodeterminazione dell'individuo. 
Le pene previste per l'ipotesi base (cd. truffa semplice, procedibile solo a querela della persona offesa) non sono particolarmente elevate, essendo prevista la multa da € 51,00 fino a € 1.032,00 e la reclusione da un minimo di tre mesi a un massimo di tre anni. 
Il trattamento sanzionatorio, tuttavia, aumenta sensibilmente nei casi previsti dal secondo comma dell'art. 640 c.p., con pena pecuniaria da € 309,00 a € 1.549,00 e pena detentiva che può arrivare fino a 5 anni di reclusione, che diventano 6 (oltre alla multa da € 700,00 a € 3.000,00) nel caso specifico in cui il soggetto attivo abbia agito profittando di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (circostanza aggravante comune prevista dall'articolo 61, comma 1, n. 5) del Codice penale).
Si segnala, al secondo comma dell'articolo 640 c.p., il n. 2 ter riguardante l'ipotesi di truffa attuata a distanza mediante l'uso di strumenti informatici o telematici idonei a ostacolare le procedure di identificazione dei soggetti coinvolti nella vicenda. Trattasi di disposizione introdotta allo specifico scopo di contrastare le assai insidiose truffe online, sempre più diffuse nell'ambito delle transazioni via web. I casi più ricorrenti riguardano le proposte di investimenti in strumenti finanziari, anche atipici, come le criptovalute, che attirano capitali con la falsa promessa di farli lievitare in misura considerevole. Molto frequenti anche i casi di truffe sulle piattaforme di e-commerce, ovvero l'invio di denaro per l'acquisto di un determinato bene/oggetto che però non verrà mai fatto recapitare al malcapitato acquirente. Siffatte frodi possono essere portate a compimento senza limiti di distanza, garantendo al contempo una maggiore sicurezza ai truffatori, che possono operare mascherandosi dietro identità fittizie (o purtroppo di altre persone, realmente esistenti), così da rendere per l'appunto più difficoltoso (quando non impossibile) il loro rintraccio.
Avv. Tommaso Barausse